Appio Claudio Pulcro (console 54 a.C.)

Appio Claudio Pulcro
Console della Repubblica romana
Nome originaleAppius Claudius Pulcher
Nascita97 a.C.
Roma
Morte49 a.C.
Balcani
GensClaudia
PadreAppio Claudio Pulcro
Pretura57 a.C.
Propretura56 a.C. in Sardegna e Corsica
Consolato54 a.C.
Censura50 a.C.

Appio Claudio Pulcro (in latino: Appius Claudius Pulcher; Roma, 97 a.C.[1]Balcani, 49 a.C.[1]) è stato un generale romano.

Figlio dell'omonimo Appio Claudio Pulcro, console nel 79 a.C., dopo la morte del padre, nel 76 a.C.,[2] fu lui a prendersi carico delle notevoli difficoltà economiche che la sua famiglia dovette affrontare:[3] aveva infatti due fratelli, Gaio Claudio Pulcro e Publio Claudio Pulcro, che cambiò più tardi il suo nome in Publio Clodio Pulcro, e tre sorelle, Clodia Pulcra Prima, Clodia Pulcra Seconda e Clodia Pulcra Terza.

Iniziò la sua carriera politica servendo in Oriente sotto Lucio Licinio Lucullo durante le guerre mitridatiche tra il 72 e il 70 a.C. e trattando, senza successo, la consegna dello stesso Mitridate con il re d'Armenia, Tigrane II.[1][4] Plutarco racconta che, invitato dal re d'Armenia, Tigrane, ad attenderlo ad Antiochia, Appio poté mettersi in contatto con molti dei principi greco-orientali, stanchi di essere sottoposti al dominio armeno (come Zarbieno di Gordiene), ed a cui fu promesso l'aiuto del proconsole romano Lucullo.[5] L'incontro tra Appio e Tigrane viene descritto come segue:

«Appio non era spaventato o stupito di tutto questo sfarzo e spettacolo, ma non appena ebbe udienza, disse chiaramente al re che egli era venuto a riprendere Mitridate, da utilizzare come ornamento per il trionfo di Lucullo, in alternativa era costretto a dichiarare guerra contro Tigrane. E anche se Tigrane fece ogni sforzo per ascoltare questo discorso con viso apparentemente sereno ed un sorriso forzato, non poté nascondere ai presenti la sua sconfitta alle audaci parole del giovane. [...]Egli rispose ad Appio che non avrebbe consegnato Mitridate, e che se i Romani avessero iniziato la guerra, si sarebbe difeso. Egli era indispettito da Lucullo il quale nella sua lettera lo aveva nominato con il titolo di Re soltanto, e non di "Re dei Re", e di conseguenza, nella sua replica, non avrebbe chiamato Lucullo, Imperator. Il re inviò, però, splendidi doni ad Appio, e quando non volle tenerli per sé, [il re] ne aggiunse altri. Appio allora accettò solo una ciotola, tra tutti quelli inviati dal re, non volendo che il suo rifiuto fosse interpretabile come una forma di inimicizia personale verso il re, ma rimandò il resto, e marciò con grande velocità per raggiungere il suo comandante.»

Tornato a Roma, nel 63 a.C., durante la congiura di Catilina, collaborò con il console Marco Tullio Cicerone, contribuendo a raccogliere le deposizioni degli ambasciatori dei Galli Allobrogi che permisero di incriminare i complici di Lucio Sergio Catilina.[1]

Nel 58 a.C. collaborò con il fratello Publio che rivestiva, in quell'anno, la carica di tribuno della plebe, e l'anno successivo ottenne la pretura.[1] Anche in questa occasione tentò di favorire la politica del fratello Publio, contribuendo ad ostacolare, seppur infruttuosamente, il ritorno a Roma di Cicerone, ed agevolando la sua elezione ad edile curule per l'anno successivo.[1]

Nel 56 a.C. fu propretore della provincia di Sardegna e Corsica,[6] e nel 56 a.C. partecipò all'incontro dei triumviri Gaio Giulio Cesare, Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso presso Lucca, dove si fece mediatore del riavvicinamento tra il fratello Clodio e Pompeo. Nel 55 a.C., dopo un'intensa campagna elettorale finanziata dal denaro reperito dal fratello Clodio in Oriente, fu eletto console per l'anno successivo;

Durante il suo consolato venne esposto in Senato un complotto, che Appio aveva ordito con la complicità del collega Lucio Domizio Enobarbo con l'intento di assicurarsi il proconsolato in una ricca provincia d'Oriente, dove intendeva rifarsi delle spese elettorali:[7] il complotto prevedeva che i candidati Gaio Memmio e Gneo Domizio Calvino, se eletti consoli con l'aiuto di Appio e di Enobarbo, avrebbero dovuto pagare loro una tangente di 40000 o 400000 sesterzi, o altrimenti corrompere due ex consoli e tre auguri che giurassero di essere stati testimoni alla promulgazione di una lex curiata che assegnava a loro una provincia. In caso questi non fossero stati trovabili, Appio avrebbe utilizzato i soldi della tangente per assicurarsi ad ogni modo una provincia, cosa che poi fece. Questa pactio, come definita da Cicerone, fu pubblicamente rivelata da Memmio in Senato, dando luogo ad un enorme scandalo, che avrebbe portato in processo tutti i candidati al consolato di quell'anno: Memmio, Domizio Calvino, Scauro e Messalla.[8]

(LA)

«Appius in sermonibus antea dictitabat, postea dixit etiam in senatu palam sese, si licitum esset legem curiatam ferre, sortiturum esse cum collega provincias, si curiata lex non esset, se comparaturum cum collega tibique successurum: legemque curiatam consuli ferri opus esse, necesse non esse; se, quoniam ex senatus consulto provinciam haberet, lege Cornelia imperium habiturum, quoad in urbem introisset.»

(IT)

«Appio andava dicendo prima nelle conversazioni, poi l'ha dichiarato pubblicamente in senato che, se fosse stato possibile promulgare una legge curiata, avrebbe sorteggiato la provincia col collega, mentre se non ci fosse stata la legge curiata, si sarebbe accordata con il collega e ti avrebbe successo (in qualità di governatore della Cilicia): ha specificato che è utile ad un console che passi una legge curiata, ma non indispensabile. Ha concluso che, dal momento che gli è stata assegnata una provincia per decreto del senato, sulla base della legge di Silla avrebbe mantenuto l'imperium proconsolare fino a che non fosse tornato a Roma.»

Appio ottenne ugualmente il governatorato della Cilicia per il 53 a.C.,[1] e tornato a Roma, nel 52 a.C., fu tra coloro che si occuparono dell'accusa contro Tito Annio Milone, colpevole di aver ucciso il fratello di Appio, Clodio.[9]

Nel 50 a.C. Appio rivestì la censura, comportandosi con estrema rigidità; l'anno successivo, dopo lo scoppio della guerra civile tra Cesare e Pompeo, raggiunse le armate di quest'ultimo nella penisola balcanica, dove morì, tuttavia, di malattia.[1]

Qua sotto c'è la ricostruzione della gens Claudia:

                c.138                         c.164             ignota = (2) Ap.Claudius Pulcher (1) = Antistia          (Fonteia?)|       cos.143, cens.136     |(Vetorum)                    |        (c.186-130)          |                    |                             |                    |          ___________________|__________                    |         |         |         |          | c.143                    |      Claudia   Claudia  Ap.Pulcher  Claudia = Q.Philippus      ______________|      Vestale   minor   (c.159-135/1) Tertia | IIIvir monetale c.129     |              |      c.163     Gracchi      |          c.157|   c.160s C.Pulcher     Ap.Pulcher              c.161      x               | (c.136-92)    (c.130-76)                                 ________|______   cos.92        cos.79                                  |               |                    |                               L.Philippus     Q.Philippus                    |                              (c.141-c.74)    (c.143-c.105)                    |                                 cos.91                    |     _______________|_______________________________________________________________________    |               |              |             |              |             |             | Claudiae    Claudia Tertia  APPIUS PULCHER  C.Pulcher   Claudia Quarta   P.Clodius Claudia  Quinta maior et     Q.Marci Regis  (97-49) cos.54  (96-c.30s)  Metelli Celeris  tr.pl.58    L.Luculli minor          (c.98)      augure cens.50   pr.56        (c.94)       (93-53)     (b.92/0) (100-99) 
  1. ^ a b c d e f g h Fezzi, Il tribuno Clodio, p. 17.
  2. ^ Fezzi, Il tribuno Clodio, p. 16.
  3. ^ Marco Terenzio Varrone, De re rustica, III, 16, 1-2.
  4. ^ Plutarco, Vite parallele, Lucullo, 19-23.
  5. ^ Plutarco, Vite parallele, Lucullo, 21.1-5.
  6. ^ (EN) T. Robert S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, II, New York, 1952, p. 211.
  7. ^ Cicerone, Lettere ad Attico, IV, 17, 2.
  8. ^ (EN) G. V. Sumner, The Coitio of 54 BC, or Waiting for Caesar, in Harvard Studies in Classical Philology, vol. 86, 1982, pp. 133–139, DOI:10.2307/311190. URL consultato il 6 marzo 2021.
  9. ^ Fezzi, Il tribuno Clodio, p. 109.
  • L. Fezzi, Il tribuno Clodio, Roma-Bari, Laterza, 2008.

Collegamenti esterni

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Predecessore Console romano Successore
Marco Licinio Crasso II
e
Gneo Pompeo Magno II
(54 a.C.)
con Lucio Domizio Enobarbo
Marco Valerio Messalla Rufo
e
Gneo Domizio Calvino
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