Gītagovinda

Illustrazione di Kṛṣṇa e Rādhā, dipinto su carta contenuto in un'edizione dello Gītagovindadel XIX secolo. Conservata presso l'Honolulu Museum of Art.
Raffigurazione di Rādhā mentre disegna l'immagine del suo amato Kṛṣṇa (XIX secolo).
(SA) «vilikhati rahasi kuraṅga-madena bhavantam asamaśara-bhūtam
praṇamati makaram adhaḥ vinidhāya kare ca śaram nava-cūtam
sā virahe tava dīnā
mādhava manasija-viśikha-bhayāt iva bhāvanayā tvayi līnā
»
(IT) «Disegna in segreto con muschio di cerva te, divenuto il dio dell'amore,
e adora deponendo il delfino e la freccia di mango novello che aveva nella mano,
o Mādhava, per paura delle frecce d'amore stretta a te nell'immaginazione
lei, afflitta perché l'hai abbandondata
»
Dipinto di Rādhā e Kṛṣṇa (XVII secolo)

Lo Gītagovinda (bengalī:গীতগোবিন্দ; devanāgarī: गीत गोविन्द; lett. "Il canto, gīta, e il "protettore/pastore delle mucche", Govinda, questo da intendersi come epiteto di "Kṛṣṇa") è il poema redatto in lingua bengalī, e poi sanscrita, dai forti contenuti religiosi, composto nel XII secolo dal poeta e mistico bengalese Jayadeva.

Nella sua edizione detta "critica", il poema risulta diviso in 12 sarga ("sezioni") che a loro volta contengono uno o più prabhanda ("canti") per complessivi 24 di questi. Ogni prabhanda è formato da 8 strofe (tranne il X che ne conserva 5) destinate al canto, ognuna delle quali si conclude con il medesimo dhruvapada ("ritornello"), l'ultimo dei quali contiene il nome dell'autore, cioè Jayadeva. Seguono delle strofe narrative fino al canto seguente.

Complessivamente lo Gītagovinda consta di 286 strofe.

Lo Gītagovinda si svolge in un ambiente e in un tempo mitici. La stagione è la dolce primavera inondata dal vento profumato e delicato che soffia da Sud, dai Monti del Malaya (i Ghāt occidentali ricchi di foreste di sandalo), quando la natura esplode nei fiori e nel canto degli usignoli; il luogo sono i boschi che abbondano lungo le rive del fiume Yamunā.

Il giovane dio Kṛṣṇa, che qui ha vissuto fin dall'infanzia, rifugiato e accolto da una famiglia di pastori (la famiglia di Nanda), si trastulla in giochi amorosi con le pastorelle (gopī), tra queste la sua unica e preferità: Rādhā.

Il poema, che tratta per l'appunto degli amori di Kṛṣṇa e di Rādhā, si caratterizza nella sintesi di lirismo ed erotismo uniti a un profondo sentimento religioso.

Il poema religioso si avvia così:

(SA)

«meghaiḥ meduram ambaram vana-bhuvaḥ śyāmāḥ tamāla-drumaiḥ
naktam bhīruḥ ayam tvam eva tat imam rādhe gṛham prāpaya
ittham nanda-nideśataḥ calitayoḥ prati-adhva-kuñja-drumam
rādhā-mādhavayoḥ jayanti yamunā-kūle rahaḥ-kelayaḥ»

(IT)

«"Di nuvole soffice il cielo, le foreste scure d'alberi di tamāla[1];
di notte lui ha paura: e tu Rādhā, accompagnalo a questa dimora!".
Così agli ordini di Nanda trionfano sulla riva della Yamunā gli amori segreti
di Rādhā e di Mādhava [2] giunti all'albero della pergola lungo il sentiero.»

Nel prosieguo, Jayadeva raggiunge il punto più intenso nella supplica d'amore del dio Kṛṣṇa, la Persona suprema, per la gopī Rādhā (che allegoricamente rappresenta l'amore delle anime dei devoti verso Dio), quando il dio le ordina di porre il piede sulla sua testa, in un simbolico gesto della di lei vittoria nella seduzione di Dio:

(SA)

«smara-garala-khaṇḍanam mama śirasi maṇḍanam
dehi pada-pallavam udāram»

(IT)

«Poni come ornamento sul mio capo il bocciolo sublime
del tuo piede, che annulla il veleno d'amore»

Narra la tradizione che in ottemperanza al sentimento di timore nei confronti del Dio Jayadeva esitò a completare tale verso stabilendo in luogo di questo delle doverose purificazioni. In sua assenza, Kṛṣṇa apparve nelle sue forme decidendosi a completare il distico in luogo del poeta e, infine, dilettandosi del pranzo che la moglie di Jayadeva, Padmāvatī, aveva predisposto per il consorte. Al ritorno, Jayadeva scoprì della grazia divina che era entrata nella sua casa, merito del suo canto d'amore celebrato in onore di Kṛṣṇa e di Rādhā.

  1. ^ Garcinia xanthochymus
  2. ^ Intende Kṛṣṇa in quanto principe degli Yādava è inteso come discendente del Mādhu Yādava .
  • Jayadeva, Gītagovinda; traduzione e apparati di Giuliano Boccali. Milano, Adelphi, 1982.

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