Paralipomeni della Batracomiomachia

Paralipomeni della Batracomiomachia
Frontespizio della prima edizione
AutoreGiacomo Leopardi
1ª ed. originale1842
Generepoema
Sottogenereeroicomico
Lingua originaleitaliano

I Paralipomeni della Batracomiomachia sono un ampio poemetto satirico in ottave scritto da Giacomo Leopardi a partire dal 1831 durante il suo soggiorno napoletano. Si presenta come continuazione: "paralipomeni" viene usato, come già in ambito biblico, per indicare un'aggiunta di cose precedentemente tralasciate (i Paralipomeni biblici derivano dal greco paraleipómena, a sua volta da paralèipō, appunto "omettere", "tralasciare"[1]) alla Batracomiomachia (lett. "Battaglia dei topi e delle rane", dal greco bátrachos (rana), mys (topo) e máche (battaglia), poemetto ellenistico erroneamente attribuito a Omero e già tradotto anni prima da Leopardi).

Intento satirico

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Il poemetto leopardiano discute, sotto la veste favolistica, gli avvenimenti politici del 1820-21 e il fallimento dei moti rivoluzionari, satireggiando austriaci (rappresentati dai granchi, alleati delle rane), Borbone (rane), e gli insorti liberali napoletani (i topi).

Omero, cui è tradizionalmente attribuita la Batracomiomachia

I topi (liberali), sconfitti dalle rane (Borboni) e dai granchi (austriaci), eleggono su base costituzionale il re Rodipane, di cui diventa primo ministro il conte Leccafondi, intellettuale progressista e impegnato in politica; i granchi intervengono per reprimere questo regime, di cui non possono tollerare l'esistenza, mettendo in rovinosa fuga i topi. Il conte Leccafondi allora va in esilio per cercare aiuto per la sua patria oppressa, incontra Dedalo, e scende persino nel regno dei morti a chiedere consiglio ai topi defunti, che però rispondono alle sue domande con una fragorosa risata. Alla fine essi gli consigliano di rientrare in patria e rivolgersi al generale Assaggiatore. Leccafondi riesce a ritornare a Topaia e dopo mille insistenze ad ottenere l'aiuto di Assaggiatore. Il poemetto si interrompe qui perché, come spiega Leopardi, al manoscritto da cui aveva tratto la storia manca la parte finale.

Tra le opere satiriche degli ultimi anni della vita di Leopardi, i Paralipomeni è la più estrosa e divertita, ed è anche quella in cui i riferimenti alla storia e alla politica del suo tempo si fanno più puntuali:

  • il giudizio più negativo colpisce l'assolutismo borbonico, condannato senza appello per il suo oscurantismo e la sua violenza repressiva[senza fonte]. In un punto del poema i granchi (che rappresentano gli austriaci) sono definiti "birri d'Europa / e boia";
  • un'ironia più bonaria investe il conte Leccafondi, simbolo dell'intellettuale progressista, deriso per il suo conformarsi alle voghe culturali del secolo e per il suo ingenuo ottimismo "topocentrico", di cui vengono però salvate la sincerità e le buone intenzioni;
  • restando nel campo dei liberali, un trattamento particolarmente pungente è riservato ai carbonari, visti come una congrega di "giovinastri" chiacchieroni, pusillanimi, succubi delle mode e totalmente inoffensivi per il potere austriaco.

Specialmente nella descrizione del conte Leccafondi, l'ironia scaturisce dalle invenzioni verbali e dagli accostamenti stranianti che derivano dalla trasposizione di caratteristiche del mondo umano in quello animale, con gli effetti di spiazzamento e di "abbassamento" che ne conseguono.

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