San Matteo e l'angelo (Caravaggio Roma)

San Matteo e l'angelo
AutoreMichelangelo Merisi da Caravaggio
Data1602
Tecnicaolio su tela
Dimensioni295×195 cm
UbicazioneSan Luigi dei Francesi, Roma

San Matteo è un dipinto realizzato nel 1602 dal pittore italiano Caravaggio. È conservato a Roma nella cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi. La prima versione del dipinto, acquistata da Vincenzo Giustiniani, passò ai Musei di Berlino nel 1815 e fu distrutta verso la fine della seconda guerra mondiale nell'incendio della Flakturm Friedrichshain.

Due anni dopo aver dipinto le tele laterali per la cappella Contarelli, Caravaggio fu chiamato a concludere l'opera dipingendo anche la pala centrale raffigurante San Matteo e l'Angelo, da porre sopra l'altare della Cappella Contarelli e che faceva seguito alle due committenze laterali della Vocazione di San Matteo e del Martirio di San Matteo[1]. La prima versione del San Matteo e l'Angelo doveva sostituire un gruppo scultoreo di Jacob Cornelisz Cobaert (ca. 1535-1615), che l'artista si trascinò sino a tarda età e che venne rifiutato il 30 gennaio del 1602 perché François Cointrel (italianizzato, Francesco Contarelli) - nipote del defunto cardinale francese Matthieu Cointrel (italianizzato, Matteo Contarelli) voleva un dipinto "imago depicta". Il 7 febbraio l'abate Giacomo Crescenzi, esecutore testamentario del cardinale, stipulò un contratto con Caravaggio per l'esecuzione della pala d'altare da consegnare entro la Pentecoste del 1602.

L'idea di una pala d'altare raffigurante San Matteo e l'Angelo era già nel programma iniziale voluto dal cardinale Matteo Contarelli intorno al 1560, quando egli era ancora in vita. La pala e la restante decorazione furono dapprima affidate a Girolamo Muziano, il quale però non le eseguì; l'incarico fu quindi affidato a Cavalier d'Arpino il quale, però, eseguì solamente gli affreschi nella volta della cappella; così la Fabbrica di San Pietro, che aveva preso in carico di far eseguire i lavori nella Cappella, per intervento del rappresentante padre Berengherio Gessi diede, forse con la mediazione del cardinale Francesco Maria del Monte, l'incarico a Caravaggio. Nel suo testamento, il cardinal Matteo Contarelli aveva precisato che la pala d'altare doveva essere alta palmi 17 e larga palmi 14 con «San Matteo in sedia con un libro o, volume, nel quale mostri o di scrivere o voler scrivere il vangelo ed a canto a lui l'angelo in piedi maggior del naturale in atto che paia di ragionare o in altra attitudine.»[2].

La prima versione dell'opera

A detta di Giovanni Baglione e di Giovanni Pietro Bellori, la prima versione di questo dipinto fu rifiutata dalla congregazione («Il quadro d'un certo San Matteo, che prima aveva fatto per quell'altare di San Luigi, e non era veruno piaciuto»)[3], e Giovanni Pietro Bellori («[…] terminato il quadro di mezzo di San Matteo e postolo su l'altare, fu tolto via dai preti, con dire che quella figura non aveva decoro, né aspetto di Santo […]»)[4]. Secondo queste fonti, il dipinto fu rifiutato perché il santo era raffigurato come un rozzo popolano semianalfabeta, con le gambe nude, incrociate, a cui l'angelo guida materialmente la mano nello scrivere il Vangelo. Merito di Luigi Spezzaferro l'aver smentito, nel 2001, le notizie fornite da Baglione e Bellori, che sino a tutto il XX secolo furono ritenute attendibili dagli studiosi[5]: Spezzaferro ha dimostrato che la prima versione del San Matteo e l'Angelo era una pala d'altare provvisoria, da collocare temporaneamente nella Cappella in attesa che vi terminassero i lavori. Essa fu valutata, si può dire per la prima volta, non solo come pala d'altare e basta, con una funzione solo devozionale e liturgica, ma considerata e valutata anche per il suo valore estetico, favorendo, in questo, l'interesse del mercato e del collezionismo[6]. Le considerazioni malevole del Baglione, quindi, erano dovute essenzialmente ai suoi contrasti col pittore[7], mentre Giovanni Pietro Bellori vedeva nella poetica figurativa del Caravaggio un carattere negativo, in quanto in aperta opposizione all'ideale che egli aveva del Bello, secondo i canoni classicisti dell'Accademia di San Luca di cui era segretario[8]. Al di là dello stato di attestata provvisorietà e delle interessate critiche negative che tendono a sostenere la falsa tesi del rifiuto, secondo Maurizio Calvesi, il primo San Matteo e l'angelo dovrebbe essere visto nell'ambito del genere della pala d'altare ed essere inquadrato nell'ambito della sua funzionalità liturgica e devozionale imposta dalle nuove regole e dagli usi della Controriforma e in rapporto al luogo ed alla posizione in cui era stata collocata[9]. Nel corso del Cinquecento la composizione figurativa della pala d'altare[10] si era andata modificando. La centralità della sacra conversazione con la Vergine e il Bambino in trono era stata modificata alla fine del secolo. Ludovico Carracci, memore della Pala Pesaro tizianesca, nella Pala Bargellini del 1588, aveva defilato la posizione della Vergine spostandola al lato. In questo periodo avevano finito per emergere ed imporsi le storie edificanti dei martiri, le estasi dei santi, la presenza centralizzata del martire-eroe che deve attirare gli sguardi dello spettatore[11], ispirare quella che il cardinale Paleotti chiamava la dulia, la venerazione del santo e, per questo, la raffigurazione doveva essere salvaguardata dagli abusi[12]. Insomma era chiaro cosa il pittore doveva realizzare e secondo quali modalità doveva essere realizzato. Ed era anche chiaro che la pala non poteva limitarsi alla raffigurazione del Santo o ad interpretare genericamente quanto scritto nel programma, ma doveva anche raffigurare intenzioni specifiche della committenza ecclesiastica. Irving Lavin[13], ha posto acutamente l'attenzione sul vangelo ebraico che un Matteo stupefatto sta scrivendo. Il Vangelo di Matteo aveva infatti una particolare importanza, perché era il primo Vangelo (la prima fonte della Vulgata), a testimoniare sulla vita di Cristo, antecedente a quello di Luca e di Marco e quindi più importante per la costruzione della Chiesa[14]. La committenza chiesastica, dunque, sapeva bene cosa doveva chiedere al pittore e questi era certamente informato di quello che doveva realizzare. È probabile, dunque, che lo stesso pittore non solo si rese conto che la prima versione era sottodimensionata rispetto al vano che doveva occupare e quindi rischiava di non rispondere alla proporzionalità delle parti, ma che la particolare rarità dell'iconografia poteva non essere compresa ed equivocata[15]. Lo stato di provvisorietà della pala, in questo senso, favorì la sostituzione ed aprì, come detto sopra, un tipo diverso di interesse nei confronti del dipinto, quello che poteva muovere le attenzioni del mercato e del collezionismo che proprio in quel periodo ruotava attorno alla chiesa di San Luigi de' Francesi[16].

La seconda versione del dipinto, tuttora in loco, emula i canoni dell'epoca: San Matteo, ispirato da un angelo apparso alle sue spalle, ha l'aspetto di un dotto e scrive di suo pugno il Vangelo, ispirato ma non più materialmente condotto dall'angelo che, con un gesto, sembra elencargli i fatti che dovrà narrare nel testo. L'unico accenno di "spregiudicatezza" dell'opera è la posa del santo, che si appresta a scrivere imbevendo la penna nel calamaio stando appoggiato con le braccia al tavolo, e con la gamba ad uno sgabello in equilibrio precario, quasi a sottolineare l'incertezza sul cosa scrivere.

Descrizione e stile

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La composizione imprime alla raffigurazione un contrasto di chiaroscuri illuminato dall'alto, un carattere plastico, che fingeva in modo straordinario la scultura, probabilmente richiamandosi, con una certa ironia, al precedente gruppo scultoreo del Coba fiammingo che era stato, questo sì, sdegnosamente rifiutato dal rettore Francesco Contarelli[17]. Il Caravaggio, nel realizzare il suo primo San Matteo e l'angelo, aveva voluto, anche con una certa ingenuità d'intenti, dare all'insieme un carattere non severo, ma che esprimesse una certa ingenuità e comicità[18]. A questo proposito aveva scritto Roberto Longhi che l'angelo, ben diverso dall'essere celeste «maggiore che il naturale», come voleva il programma, mostrava di essere un «ragazzaccio insolente, panneggiato in un lenzuolo a strascico come in una rappresentazione sacra da teatrino parrocchiale»[19]. Insomma la figurazione evidenziava un aspetto del tutto particolare, con il vecchio impacciato contadino che viene guidato da un messo celeste molto umano, dagli svolazzanti panneggi trasparenti, che poco si addiceva alla rappresentazione sacra, ma che era più confacente ad un tizianesco "idillio veneto"[20]. Questi aspetti, di tipo estetico, erano più comprensibili nell'ambito di una collezione privata, e Vincenzo Giustiniani, collezionista e protettore di giovani artisti[21], acquistando il quadro, non poteva non apprezzarli; mentre gli aspetti dottrinari, forse, nel contesto del dipinto presentavano delle difficoltà di comprensione: come osserva Irving Lavin, l'ispirazione del messo celeste guida la mano del rozzo analfabeta che, come Socrate, sa di non sapere[22]. Nella seconda versione, più dimensionata come pala d'altare, più severa, rigorosa, e allineata ai canoni controriformistici, soprattutto il San Matteo ha l'aspetto più chiaro e definito del saggio, dell'intellettuale che, pur sbalordito, sviluppa «un procedimento di analisi e spiegazione strettamente razionale di origine celeste»[23]. Qui, come è nella concezione cattolica, l'uomo collabora con Dio: l'angelo computa con le dita l'inizio del Vangelo riassumendo la stirpe divina di Cristo che discende da Davide; in questo modo il messaggio risulta più chiaro e allineato alle concezioni sull'ispirazione divina dettate dal Concilio di Trento del 1546[24].

  1. ^ Per ulteriori letture sul San Matteo e l'Angelo, si veda Gian Alberto Dell'Acqua, Il Caravaggio e le sue grandi opere da San Luigi dei Francesi, appendice a cura di Mia Cinotti, Milano, Rizzoli, 1971, pp. 147-167. Per un più significativo e aggiornato studio, si veda Caravaggio nel IV centenario della Cappella Contarelli: convegno internazionale di studi (Roma 24-26 maggio 2001), Città di Castello, Petruzzi Stampa, 2002.
  2. ^ Il documento è citato in Maurizio Marini, Caravaggio: Michelangelo Merisi da Caravaggio "pictor praestantissimus". La tragica esistenza, la raffinata cultura, il mondo sanguigno del primo Seicento, nell'iter pittorico completo di uno dei massimi rivoluzionari dell'arte di tutti i tempi, Roma, Newton & Compton, 1987, p. 43.
  3. ^ Giovanni Baglione, Le vite de pittori, scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII fino a tutto quello d'Urbano VIII, Roma, Andrea Fei, 1642, p. 137.
  4. ^ Giovanni Pietro Bellori, Le vite de' Pittori, Scultori et Architetti moderni, Roma, Mascardi, 1672, p. 219.
  5. ^ Luigi Spezzaferro, Caravaggio accettato, in Caravaggio nel IV centenario della Cappella Contarelli: convegno internazionale di studi (Roma 24-26 maggio 2001), Città di Castello, Petruzzi Stampa, 2002, pp. 23-50. Si veda anche Luigi Spezzaferro, Caravaggio rifiutato? Il problema della prima versione del San Matteo, in Ricerche di Storia dell'Arte, n. 10, 1980, 49-69.
  6. ^ Luigi Spezzaferro, Caravaggio accettato, cit., pp. 23-50. Sul mercato e il collezionismo a Roma nel Seicento, cfr., Mercanti di quadri, a cura di Luigi Spezzaferro, in Quaderni storici, 2, 2004, pp. 327-352; e Luigi Spezzaferro, Problemi del collezionismo romano, Roma, 2001, p. 3 e sgg. Proprio il mercato dei quadri ruotava intorno alla chiesa di San Luigi de' Francesi dove operava il mercante, forse greco, Costantino e in zona si trovavano collezionisti importanti come Francesco Maria del Monte e il marchese Vincenzo Giustiniani, che appunto acquistò il San Matteo e l'Angelo.
  7. ^ Per la rivalità tra Caravaggio e Giovanni Baglione si vedano Michele Di Sivo, Uomini valenti: il processo di Giovanni Baglione contro Caravaggio, in Caravaggio a Roma: una vita dal vero, Roma, De Luca Editori d'Arte, 2011, pp. 90-108; ma anche Federica Papi, Ombre e luci nel processo a Caravaggio: ipotesi sulla Resurrezione di Baglione, novità su Filippo Trisegni e una proposta per Francesco Scarpellino, in Caravaggio a Roma: una vita dal vero, op. cit., pp. 109-116; e infine Herwarth Röttgen, Quel diavolo è Caravaggio: Giovanni Baglione e la sua denuncia satirica dell'Amore terreno, in Storia dell'arte, n. 79, 1993, 326-340.
  8. ^ L'idea del bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro Bellori, catalogo della mostra a cura di Evelina Borea (Roma, Palazzo delle Esposizioni), Roma: De Luca, 2000, 2 voll. Kenneth Donahue, ad vocem Giovanni Pietro Bellori, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 7, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970. URL consultato il 13 aprile 2019.
  9. ^ Cfr. Maurizio Calvesi, Caravaggio. I dipinti d'altare del periodo romano, in Arte e Dossier, 2000 [1986], p. 36.
  10. ^ Sulla pala d'altare, cfr., André Chastel, Storia della pala d'altare nel Rinascimento italiano, Milano, Bruno Mondadori, 2006.
  11. ^ Cfr. John Shearman, Arte e spettatore nel Rinascimento italiano, Milano, Yaka Book, 1995, pp. 95-98.
  12. ^ Gabriele Paleotti, Cap. XXXI, libro I (PDF), in Discorso intorno alle immagini sacre e profane, Bologna 1581-1582. Nel Cap. V, il cardinale afferma che il diavolo, non potendo impedire le immagini, le riempie di abusi.
  13. ^ Irving Lavin, A further note on the Ancestry of Caravaggio's firts Matthew, in Art Bulletin, LXII, 1980, p. p. 113 ss..
  14. ^ Francesco Saracino, Caravaggio e i pittori dell'ispirazione, in Gregorianum, vol. 87, Roma, 2007, p. 501.
  15. ^ Rossella Vodret, Caravaggio a Roma, Milano, Silvana, 2010, p. 88.
  16. ^ Cfr. Decorazione e collezionismo a Roma nel Seicento, a cura di Francesca Cappelletti, Roma, Gangemi, 2003. E Francesca Curti, Committenza, collezionismo e mercato dell'arte a Roma e Bologna nel Seicento, Roma, Gangemi, 2007.
  17. ^ Cfr. Mina Gregori, Come dipingeva. Caravaggio, in Michelangelo Merisi. Come nascono i capolavori, Convegno di Studi, Milano, Electa, 1996, p. 23. In questa modalità compositiva che fingeva la tridimensionalità giocava un ruolo efficace l'immersione della scena in un fondo nero inchiostro.
  18. ^ Peter Robb, M. L'enigma Caravaggio, Milano, Mondadori, 2011, p. 190.
  19. ^ Roberto Longhi, Caravaggio, a cura di Giovanni Previtali, Roma, Editori Riuniti, 1982 [1952], p. 82.
  20. ^ Bernard Berenson, Caravaggio, Roma, Editori Riuniti, 1994 [1956], p. 32.
  21. ^ Sul marchese Vincenzo e la sua collezione, Silvia Danesi Squarzina, Caravaggio e i Giustiniani, Michelangelo Mersisi da Caravaggio. La vita e le opere (Atti del Convegno del 1995), Roma, 1995, p. 94. Sulla "sponsorizzazione" di Caravaggio da parte del "turcimanno" ("talent scout") Prospero Orsi e sull'accoglienza del marchese, cfr. Maurizio Calvesi, La realtà del Caravaggio, Torino, Einaudi, 1995, pp. 355-358; e Silvia Danesi Squarzina, cit., pp. 95-98.
  22. ^ Irving Lavin, ha sottolineato come, attraverso l'intervento del messo celeste «nella prima versione la parola divina esce meccanicamente» dall'umile proletario «la cui principale virtù consisteva nella consapevolezza della propria ignoranza», appunto come nel filosofo Socrate, cfr. Irving Lavin, Passato e presente nella storia dell'arte, Torino, Einaudi, 1994, pp. 157-159, tr. it. degli scritti sul primo e secondo Matteo. L'intervento diretto dell'angelo serviva a conferire al Vangelo l'autenticità di fonte prima della Vulgata.
  23. ^ Irving Lavin, Passato e presente, cit., p. 159.
  24. ^ Decretum de libris sacris et de traditionibus recepiendis, Concilio di Trento IV sessione, 8 aprile 1546. Sul dogma dell'ispirazione che verrà sviluppato pienamente nel corso del Seicento.
  • Giovanni Baglione, Le vite de pittori, scultori et architetti: dal pontificato di Gregorio XIII fino a tutto quello d'Urbano VIII, Roma: Andrea Fei, 1642.
  • Giovanni Pietro Bellori, Le vite de' Pittori, Scultori et Architetti moderni, Roma: Mascardi, 1672.
  • Bernard Berenson, Caravaggio, a cura di Luisa Vertova, Milano: Leonardo, 1994.
  • Maurizio Calvesi, La realtà del Caravaggio, Torino: Einaudi, 1990.
  • Caravaggio nel IV centenario della Cappella Contarelli: convegno internazionale di studi, Roma 24-26 maggio 2001, Città di Castello: Petruzzi Stampa, 2002.
  • Gian Alberto Dell'Acqua, Il Caravaggio e le sue grandi opere da San Luigi dei Francesi, appendice a cura di Mia Cinotti, Milano: Rizzoli, 1971.
  • Michele Di Sivo, "Uomini valenti: il processo di Giovanni Baglione contro Caravaggio", in Caravaggio a Roma: una vita dal vero, Roma, De Luca Editori d'Arte, 2011, p. 90-108.
  • Kenneth Donahue, ad vocem "Giovanni Pietro Bellori", Dizionario Biografico degli Italiani, Roma: Istituto della Enciclopedia italiana, vol.7, 1970.
  • L'idea del bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro Bellori, catalogo della mostra a cura di Evelina Borea (Roma, Palazzo delle Esposizioni), Roma: De Luca, 2000, 2 volumi
  • Irving Lavin, "A further note on the ancestry of Caravaggio's first 'Saint Matthew'", The Art Bulletin, 62 (1980), p. 113-114.
  • Roberto Longhi, Caravaggio, a cura di Giovanni Previtali, Roma: Editori Riuniti, 1982.
  • Maurizio Marini, Caravaggio: Michelangelo Merisi da Caravaggio "pictor praestantissimus". La tragica esistenza, la raffinata cultura, il mondo sanguigno del primo Seicento, nell'iter pittorico completo di uno dei massimi rivoluzionari dell'arte di tutti i tempi, Roma: Newton Compton, 1987.
  • Mercanti di quadri, a cura di Luigi Spezzaferro, Bologna: Il Mulino, 2004.
  • Gabriele Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane, Bologna, 1582, citato in Paola Barocchi, Trattati d'arte fra Manierismo e Controriforma, Bari: Laterza, 1961, vol. II, 3 volumi
  • Federica Papi, "Ombre e luci nel processo a Caravaggio: ipotesi sulla Resurrezione di Baglione, novità su Filippo Trisegni e una proposta per Francesco Scarpellino", in Caravaggio a Roma: una vita dal vero, p. 109-116.
  • Peter Robb, M. L'enigma Caravaggio, Milano: Mondadori, 2001.
  • Herwarth Röttgen, "Quel diavolo è Caravaggio: Giovanni Baglione e la sua denuncia satirica dell'Amore terreno", in Storia dell'arte, 79.1993, p. 326-340.
  • Luigi Spezzaferro, "Caravaggio rifiutato? Il problema della prima versione del San Matteo", in Ricerche di Storia dell'Arte, 10 (1980), pp. 49–69.
  • Luigi Spezzaferro, "Problemi del collezionismo a Roma nel XVII secolo", in Geografia del collezionismo: Italia e Francia tra il XVI e il XVIII secolo, atti delle giornate di studio dedicate a Giuliano Briganti (Roma, 19 - 21 settembre 1996), a cura di Oliver Bonfait e Michel Hochmann, Roma: École Française de Rome, 2001, p. 1-23.
  • Luigi Spezzaferro, "Caravaggio", in L'idea del bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro Bellori, catalogo della mostra a cura di Evelina Borea (Roma, Palazzo delle Esposizioni), Roma: De Luca, 2000, vol. 2, p. 271-274.
  • Luigi Spezzaferro, "Caravaggio accettato", in Caravaggio nel IV centenario della Cappella Contarelli: convegno internazionale di studi, Roma 24-26 maggio 2001, Città di Castello: Petruzzi Stampa, 2002, p. 23-50.
  • Rossella Vodret, Caravaggio e Roma, Milano: Silvana Editoriale, 2010.

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