Megachasma pelagios

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Squalo boccagrande
Megachasma pelagios
Stato di conservazione
Rischio minimo[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
SubphylumVertebrata
ClasseChondrichthyes
SottoclasseElasmobranchii
SuperordineEuselachii
OrdineLamniformes
FamigliaMegachasmidae
GenereMegachasma
SpecieM. pelagios
Nomenclatura binomiale
Megachasma pelagios
Taylor, Compagno & Struhsaker, 1983
Areale

Lo squalo bocca grande[2] o squalo megamouth (Megachasma pelagios Taylor, Compagno & Struhsaker, 1983) è un pesce cartilagineo dell'ordine dei Lamniformi. È l'unica specie del genere Megachasma e della famiglia Megachasmidae.[3]

Il primo squalo bocca grande fu catturato il 15 novembre 1976, a circa 25 miglia nautiche (45 km) al largo della costa di Kaneohe, Hawaii, quando rimase impigliato nell'ancora della nave AFB-14 della Marina degli Stati Uniti ad una profondità di circa 165 m.[4] La specie è stata identificata come appartenente a un nuovo genere all'interno delle specie di squali planctivori.[5] L'esame dell'esemplare di 4,5 m e 750 kg da parte di Leighton Taylor ha mostrato che si trattava di un tipo di squalo del tutto sconosciuto, rendendolo, insieme al celacanto, una delle scoperte più sensazionali in ittiologia del XX secolo.[6] La pinna pettorale dello squalo megamouth è stata studiata, insieme al suo sistema scheletrico e muscolare, per mostrare la sua relazione filogenetica con gli altri due squali filtratori.[5]

I nomi comuni con cui la specie è conosciuta sono dovuti alla sua caratteristica bocca. Il nome specifico deriva dal greco antico πελάγιος?, pelágios, "del mare (aperto)".

Bocca di un esemplare conservato al Mondo Marino Uminonakamichi

L'aspetto dello squalo bocca grande è caratteristico, ma si sa poco altro al riguardo. L'interno delle sue fessure branchiali è rivestito da rastrelli branchiali simili a dita che catturano il suo cibo. Nuotatore relativamente povero, il megamouth ha un corpo morbido e flaccido e manca di chiglie caudali. La specie è notevolmente meno attiva degli altri squali planctivori filtratori, lo squalo elefante e lo squalo balena. Il megamouth ha un corpo robusto, con una testa bulbosa, lunga e larga e presenta una coda asimmetrica con un lungo lobo superiore, simile a quella dello squalo volpe.

I megamouth sono grandi squali, in grado di crescere fino a 5,49 m di lunghezza.[7][8][9] I maschi maturi hanno in media una lunghezza di 4 m, mentre le femmine di 5 m. Sono stati segnalati pesi fino a 1215 kg.[10] Gli squali megamouth possono essere trovati fino al nord del Giappone; California meridionale (LACM 43745-1) e vicino a Punta Eugenia, Baja California e Hawaii. Gli squali bocca grande sono blu scuro, nero-brunastro o grigi sopra e più chiari sotto; con una fascia bianca lungo la mascella superiore; mentre il margine posteriore delle sue pinne è bianco.

Come suggerisce il nome, i megamouth hanno un'ampia bocca con piccoli denti, con fino a 50 file di denti nella mascella superiore e fino a 75 file nella mascella inferiore.[11] L'interno sporgente del labbro superiore è di un bianco argenteo brillante, molto visibile a bocca aperta e potrebbe essere un meccanismo di alimentazione o eventualmente essere utilizzata come mezzo per identificare altri individui di squali megamouth.[12] Le bocche di questi squali possono raggiungere fino a 1,3 m di larghezza.

Posizioni degli avvistamenti di squalo bocca grande (1976-2010)

Distribuzione

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La specie è stata osservata nelle acque temperate e tropicali dei maggiori oceani, a profondità comprese tra 5 e 1500 m.[13] Le segnalazioni più numerose provengono dall'oceano Pacifico occidentale (Taiwan, Giappone e Filippine).[14] Alcuni esemplari sono stati avvistati anche nelle acque vicino a Hawaii, California, Messico, Indonesia, Australia, Brasile, Senegal, Sud Africa, Porto Rico, Ecuador[15] e forse Vietnam.

Nel 1990, uno squalo megamouth maschio di 4,9 m fu catturato vicino alla superficie al largo di Dana Point, in California. Questo individuo fu poi rilasciato con un piccolo chip radio attaccato al suo corpo. Durante il giorno, lo squalo nuotava a una profondità di circa 120-160 m, ma al tramonto saliva e trascorreva la notte a profondità comprese tra 12 e 25 m. Sia di giorno che di notte, la sua velocità di movimento è stata molto lenta, intorno agli 1,5-2,1 km/h. Questo modello di migrazione verticale è visto in molti animali marini mentre seguono il movimento del plancton nella colonna d'acqua.[16]

Megachasma pelagios

Nel dicembre 2023 un esemplare femmina di 5,6 m è stato trovato morto su una spiaggia delle Filippine.[17]

La riproduzione è ovovivipara, il che significa che i giovani squali si sviluppano in uova che rimangono all'interno del corpo della madre fino alla schiusa. Campioni di tessuto sono stati ottenuti da ventisette esemplari catturati in diverse località per eseguire un'analisi genetica, i cui risultati non hanno indicato alcuna diversità genetica tra popolazioni che si trovano in distinte aree geografiche, il che indica che la specie forma un'unica popolazione ibrida, altamente migratoria.[15]

Storia evolutiva

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Oltre al M. pelagios vivente, recentemente sono state proposte anche due specie estinte di megamouth, il M. alisonae[18] del Priaboniano e il M. applegatei dell'Oligocene-Miocene, sulla base di resti di denti fossilizzati.[19][20] Un primo antenato della specie recente Megachasma pelagios è stato segnalato dal Miocene inferiore (Burdigaliano) del Belgio.[21] Tuttavia, il M. comanchensis del Cretaceo è stato recentemente riclassificato come squalo odontaspide nel genere Pseudomegachasma, ed è in effetti non correlato allo squalo megamouth nonostante la morfologia dei denti simile.[22] Gli adattamenti di filtraggio del megamouth probabilmente si sono evoluti indipendentemente da altri squali filtratori esistenti rendendolo un esempio di evoluzione convergente.[23]

  1. ^ (EN) Kyne, P.M., Liu, K.M. & Simpfendorfer, C. 2019, Megachasma pelagios, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020. URL consultato il 2/4/2020.
  2. ^ Renzo Pirino e Maurilio Usai, Guida agli squali del Mediterraneo: gli squali del Mediterraneo visti da un biologo e da un pescatore di squali, Firenze, ED.A.I., 1991, p. 169, SBN IT\ICCU\LIA\0128912.
  3. ^ (EN) Megachasma pelagios, in WoRMS (World Register of Marine Species).
  4. ^ Leighton R. Taylor, L. J. V. Compagno e Paul J. Struhsaker, Megamouth – a new species, genus, and family of lamnoid shark (Megachasma pelagios, family Megachasmidae) from the Hawaiian Islands, in Proceedings of the California Academy of Sciences, vol. 43, n. 8, 1983, pp. 87–110.
  5. ^ a b Taketeru Tomita, Sho Tanaka, Keiichi Sato e Kazuhiro Nakaya, Pectoral Fin of the Megamouth Shark: Skeletal and Muscular Systems, Skin Histology, and Functional Morphology, in PLOS ONE, vol. 9, n. 1, 21 gennaio 2014, pp. e86205, Bibcode:2014PLoSO...986205T, DOI:10.1371/journal.pone.0086205, PMC 3897653, PMID 24465959.
  6. ^ Berra, Tim M., Some 20th century fish discoveries, in Environmental Biology of Fishes, vol. 50, n. 1, 1997, pp. 1–12, DOI:10.1023/A:1007354702142.
  7. ^ Leonard J. V. Compagno, Sharks of the world: an annotated and illustrated catalogue of shark species known to date (PDF), Rome, Food and Agriculture Organization of the United Nations, 2002, pp. 74–78, ISBN 978-9251045435.
  8. ^ Nikhil Swaminathan, What is a megamouth shark? Is it still a scientific mystery?, in Scientific American, 9 aprile 2009.
  9. ^ Deep Sea: Megamouth Shark, su elasmo-research.org. URL consultato il 25 luglio 2017.
  10. ^ Megamouth shark washes up in Philippines and is only the 60th we've ever seen., su wordpress.com, 28 gennaio 2015. URL consultato il 3 aprile 2018.
  11. ^ Steve Parker, The Encyclopedia of Sharks, Firefly, 2008, p. 54, ISBN 978-1-55407-409-9.
  12. ^ Megachasma pelagios :: Florida Museum of Natural History, su floridamuseum.ufl.edu, 10 maggio 2017. URL consultato il 25 luglio 2017.
  13. ^ Megachasma pelagios: Kyne, P.M., Liu, K.M. & Simpfendorfer, C., su IUCN Red List of Threatened Species, 9 novembre 2018.
  14. ^ (EN) Haight, T., Megachasma pelagios - The Megamouth Shark, su sharkmans-world.eu, 2018 (archiviato dall'url originale il 19 agosto 2017).
  15. ^ a b Shang-Yin 'Vanson' Liu, Shoou Jeng Joung, Chi-Ju Yu, Hua-Hsun Hsu, Wen-Pei Tsai e Kwang Ming Liu, Genetic diversity and connectivity of the megamouth shark, in PeerJ, vol. 6, 5 marzo 2018, pp. e4432, DOI:10.7717/peerj.4432, PMC 5842762, PMID 29527411.
  16. ^ Piper, Ross (2007), Extraordinary Animals: An Encyclopedia of Curious and Unusual Animals, Greenwood Press.
  17. ^ https://www.virgilio.it/video/squalo-bocca-grande-incinta-record-160196
  18. ^ Kenshu Shimada e David Ward, The oldest fossil record of the megamouth shark from the late Eocene of Denmark, and comments on the enigmatic megachasmid origin, in Acta Palaeontologica Polonica, vol. 61, 2016, DOI:10.4202/app.00248.2016.
  19. ^ Christopher Gallardo, Kenshu Shimada e Bruce A. Schumacher, A New Late Cretaceous Marine Vertebrate Assemblage from the Lincoln Limestone Member of the Greenhorn Limestone in Southeastern Colorado, in Transactions of the Kansas Academy of Science, vol. 115, 3–4, 2013, pp. 107–116, DOI:10.1660/062.115.0303.
  20. ^ Kenshu Shimada, Bruce J. Welton e Douglas J. Long, A new fossil megamouth shark (Lamniformes, Megachasmidae) from the Oligocene-Miocene of the western United States, in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 34, n. 2, 2014, pp. 281–290, DOI:10.1080/02724634.2013.803975.
  21. ^ Pieter J. De Schutter e Stijn Everaert, A megamouth shark (Lamniformes: Megachasmidae) in the Burdigalian of Belgium, in Geologica Belgica, vol. 23, 3–4, 2020, pp. 157–165, DOI:10.20341/gb.2020.001.
  22. ^ Kenshu Shimada, Evgeny V. Popov, Mikael Siversson, Bruce J. Welton e Douglas J. Long, A new clade of putative plankton-feeding sharks from the Upper Cretaceous of Russia and the United States, in Journal of Vertebrate Paleontology, vol. 35, n. 5, 3 settembre 2015, pp. e981335, DOI:10.1080/02724634.2015.981335.
  23. ^ Michaela Mitchell, Charles Ciampaglio e S.J. Jacquemin, Convergent evolution in tooth morphology of filter-feeding lamniform sharks, in Southeastern Geology, vol. 53, 1º novembre 2018, pp. 63–80.

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