Ordine dei Frati penitenti di Gesù Nazareno

L'ordine dei frati penitenti di Gesù Nazareno, detto dei frati Scalzetti (in latino Ordo Poenitentium a Iesu Nazareno, sigla O.Poen.), è un antico ordine mendicante: sorto in Spagna nel XVIII secolo, venne soppresso da papa Pio XI nel 1935.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Juan Alfonso Varela y Losada, fondatore dell'ordine

L'ordine venne fondato a Salamanca nel 1752 da Juan Alfonso Varela y Losada: era un ordine mendicante, con un forte carattere contemplativo ed eremitico. Gli scalzetti furono sempre strettamente legati ai francescani e ai domenicani: tutti i loro conventi vennero eretti dove già esisteva una casa di uno di questi ordini.[1]

Agli inizi erano presenti solo in Spagna e Portogallo, ma si diffusero presto anche in Polonia, Austria, Ungheria (grazie alla protezione del vescovo di Eger, Ferenc Barkóczy) e Italia (a Roma ebbero le chiese di Santa Maria delle Grazie a Porta Angelica e di Santa Maria in Macello Martyrum alle Colonnacce). Non furono mai troppo numerosi: non arrivarono a contare mai più di 33 conventi e nel momento del loro massimo sviluppo erano circa 255.[1]

Papa Pio VI approvò l'ordine e la sua regola rispettivamente con i brevi Ex debito pastoralis officii e Iniuncta nobis, entrambi del 21 maggio 1784: con questi provvedimenti, il pontefice estese agli scalzetti tutti i diritti e i privilegi dei francescani. Furono l'ultimo ordine maschile di voti solenni approvato dalla Santa Sede.[2]

La massima autorità dell'ordine era quella del ministro generale, eletto con mandato di sei anni, affiancato da un commissario generale, un procuratore generale, quattro custodi e quattro definitori; il capitolo generale veniva celebrato ogni tre anni; i superiori delle comunità locali erano detti "guardiani".[2]

L'ordine raggiunse il suo massimo sviluppo nel 1929: nel 1930, con la soppressione delle sue case nei paesi tedeschi, rimasero attivi solo sei conventi, tutti in Italia. Con il breve Romanorum pontificum papa Pio XI soppresse l'ordine, sciolse i suoi membri dai voti e consentì ai suoi sacerdoti di incardinarsi nel clero di qualche diocesi o di entrare in un altro ordine.[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b M. Acebal Luján, DIP, vol. VI (1980), col. 1368.
  2. ^ a b M. Acebal Luján, DIP, vol. VI (1980), col. 1369.
  3. ^ M. Acebal Luján, DIP, vol. VI (1980), col. 1370.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Guerrino Pelliccia e Giancarlo Rocca (curr.), Dizionario degli Istituti di Perfezione (DIP), 10 voll., Edizioni paoline, Milano 1974-2003.
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