Problem plays

Con problem plays (in italiano "drammi problematici" o "dialettici")[1] si definiscono alcuni drammi di William Shakespeare.

Uso della locuzione

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L'espressione fu adattata a Shakespeare dallo studioso Frederick Samuel Boas nel saggio Shakespeare and His Predecessors (1896). Boas adottò deliberatamente tale termine, allora entrato in voga per definire i drammi di Henrik Ibsen, nei quali il protagonista affronta una situazione spia di un problema sociale più ampio.[2]

Come introdotta da Boas, la locuzione in origine definiva tre drammi: la tragedia Troilo e Cressida (1600-2) e le commedie Misura per misura (1603-4) e Tutto è bene quel che finisce bene (1604-5). Secondo Boas, inoltre, Amleto (1599-1601) costituirebbe un anello di congiunzione tra i drammi dialettici e le tragedie.

La locuzione ha avuto successo anche negli studi shakespeariani successivi a Boas, tanto da essere talvolta estesa a Il mercante di Venezia (commedia del 1596-7) e Timone d'Atene (tragedia del 1605-6), mentre Amleto oggi viene generalmente considerata un'"autentica" tragedia.

Caratteristiche

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Secondo Boas, tali drammi dialettici shakespeariani mirerebbero a esplorare specifici dilemmi morali e problemi sociali; avrebbero inoltre uno stile complesso e ambiguo, mirante ad appassionare e sbigottire lo spettatore anziché causare semplicemente gioia (come una commedia) o dolore (come una tragedia).

In effetti, il concetto presenta consonanze con quello più generico di tragicommedia.

  1. ^ Così citati, ad esempio, nella serie Teatro completo di William Shakespeare curata da Giorgio Melchiori della collana I Meridiani, il cui relativo volume contiene Amleto, Troilo e Cressida, Tutto è bene quel che finisce bene e Misura per misura.
  2. ^ (EN) Shakespeare's Problem Plays, su No Sweat Shakespeare, 23 luglio 2011. URL consultato il 2 aprile 2024.
  • F. S. Boas, Shakespeare and His Predecessors, John Murray, Londra 1896.
  • E. M. W. Tillyard, Shakespeare's Problem Plays, Chatto and Windus, Londra 1949.