Richard Roose

Un pentolone per la bollitura a morte, metodo di esecuzione di Richard Roose

Richard Roose (... – Londra, aprile 1532[N 1]) è stato un cuoco inglese, in servizio presso la casa di John Fisher, vescovo di Rochester, durante i primi decenni del XVI secolo.

Nel 1531 fu protagonista di un famoso caso di cronaca nera: nella casa del vescovo due persone morirono e numerose altre si sentirono male dopo aver mangiato un porridge, il cui cuoco, ovvero proprio Roose, venne accusato di averlo avvelenato per motivi mai del tutto chiariti. A Richard Roose venne quindi imputato di aver voluto uccidere il suo padrone John Fisher, e venne condannato a morte.

Il caso di Roose acquisì sin da subito un'enorme notorietà. Al crimine s'interessò lo stesso re d'Inghilterra Enrico VIII, che emanò un provvedimento che paragonava il reato di avvelenamento all'alto tradimento e ne puniva i responsabili con l'esecuzione pubblica per bollitura a morte in un calderone. Richard Roose fu il primo ad essere sottoposto a questo straziante procedimento, che fu presto abrogato già nel 1547, sotto il regno di Edoardo VI d'Inghilterra, per la sua estrema crudeltà.

A posteriori sono state fatte molte teorie e speculazioni sul reale andamento dei fatti del 1531. Secondo alcuni; Richard Roose tentò di avvelenare il vescovo Fisher per conto dei suoi nemici, come ad esempio la futura regina Anna Bolena e la sua famiglia, oppure lo stesso sovrano Enrico VIII; secondo altri, egli era innocente e fu ingiustamente condannato a morte per coprire i crimini di altre persone mai identificate. La vicenda di Roose si andò a collocare nella complessa situazione politica interna dell'Inghilterra pre-anglicana, e fu probabilmente conseguenza del conflitto tra il vescovo Fisher ed Enrico VIII.

Antefatti[modifica | modifica wikitesto]

Origini di Roose[modifica | modifica wikitesto]

Praticamente nulla è noto della vita di Richard Roose prima del 1531,[1] tanto che anche il suo cognome è incerto: persino le fonti dell'epoca non riescono a fare chiarezza, indicandolo spesso anche come Richard Rouse, Richard Cooke[2] o Richard Rose.[3] È noto solo che fosse il cuoco del vescovo di Rochester John Fisher (o, meno probabilmente, un amico del cuoco) nella sua residenza episcopale di Lambeth.[2]

Busto in legno cinquecentesco di Pietro Torrigiano del vescovo John Fisher, giustiziato nel 1535 da Enrico VIII e per questo considerato martire dalla Chiesa cattolica

Conflitto tra Fisher ed Enrico VIII[modifica | modifica wikitesto]

Il re Enrico VIII d'Inghilterra a partire dalla seconda metà degli anni 1520 si era invaghito di una delle dame di compagnia della sua prima moglie Caterina d'Aragona, Anna Bolena, ma la ragazza si rifiutava di intrattenere rapporti intimi col re finché egli fosse stato sposato.[2] Di conseguenza, il sovrano aveva cercato di persuadere sia il Papa che la Chiesa inglese a concedergli il divorzio.[2][4] Pochi uomini di chiesa dell'epoca sostennero Enrico dal principio e alcuni, tra cui il vescovo di Rochester e affermato teologo John Fisher, si schierarono apertamente contro il proposito del sovrano.[4][5] Fisher, nonostante fosse stato cappellano della potente nonna del re Margaret Beaufort[6] e uomo fidato del precedente sovrano Enrico VII d'Inghilterra,[7] si era quindi presto posto in inimicizia col re per la sua strenua difesa di Caterina d'Aragona.[2][4][8][9]

All'inizio del 1531, il parlamento d'Inghilterra era in seduta da oltre un anno. Sotto forti pressioni del sovrano aveva già approvato una serie di piccole ma significative riforme che limitavano la libertà individuale, sia contro presunti mali sociali (come il vagabondaggio) sia contro la Chiesa,[10] ad esempio limitando il ricorso al praemunire (ovvero il riconoscimento dell'autorità superiore del Papa rispetto al Re d'Inghilterra) e obbligando i monasteri e abbazie più piccoli a chiudere,[7] inasprendo inoltre anche le torture in caso di arresto.[11] Enrico VIII, ormai in aperto conflitto con papa Clemente VII dato il suo rifiuto di concedergli il divorzio da Caterina,[2] meditava già di separare la Chiesa inglese da quella di Roma, e stava tentando di rafforzare la propria autorità in previsione dello scisma;[4] il più forte oppositore di queste manovre era, appunto, John Fisher, che divenne il punto di riferimento del partito anti-regio.[7][10] L'ambasciatore del Sacro Romano Impero in Inghilterra, Eustace Chapuys, corrispondente diretto e confidente del vescovo Fisher,[12] scrisse in questo periodo all'Imperatore Carlo V che il vescovo aveva già pessimi rapporti col re, riferendo inoltre che personalità anonime ma vicine al sovrano avessero minacciato di «gettare Fisher e i suoi seguaci nel Tamigi» se avesse continuato con la sua opposizione,[13] tanto che il vescovo l'aveva pregato di far finta di non conoscerlo e di scrivere le proprie missive utilizzando un codice cifrato.[10] Come da egli temuto, il vescovo fu vittima di forti intimidazioni:[4] nel gennaio 1531 venne accusato di praemunire, e nel mese di febbraio (dopo l'incidente di Roose), mentre si trovava nel proprio studio privato in cima al palazzo episcopale, una fucilata esplosa da ignoti ne colpì il tetto, poco sopra le finestre della stanza del vescovo, inducendolo quindi a fuggire subito da Londra alla sua sede vescovile di Rochester.[14]

Anna Bolena, all'epoca amante di Enrico VIII e avversaria di Fisher

Poco dopo si ammalò misteriosamente, e anche se il malanno fu di breve durata l'esperienza provò molto il prelato.[2] L'atmosfera di sospetto a corte e la passione con cui Fisher difendeva la posizione della regina consorte Caterina d'Aragona (prima di essere arrestato come oppositore del re scrisse sette libri in suo sostegno) irritavano molto sia Enrico che Anna Bolena, la quale infine consigliò a Fisher di non presenziare in Parlamento, dove era atteso per condannare il re e la sua amante, per evitare il rischio di «contrarre nuovamente qualche malattia come già accaduto prima».[2][15]

Riguardo l'avvelenamento, fino al 1531 questo tipo di reato era stato molto raro nella storia dell'Inghilterra, soprattutto se confrontato con altri crimini come la violenza sessuale e il furto.[1] Nei primi decenni del XVI secolo si registrarono comunque casi di avvelenamento, e nel 1523 un uomo accusato di aver avvelenato «diverse persone» fu bollito vivo a Smithfield, proprio come sarebbe successo a Roose.[16]

L'avvelenamento[modifica | modifica wikitesto]

Fatti del 18 febbraio 1531[modifica | modifica wikitesto]

Nel primo pomeriggio del 18 febbraio 1531 Fisher e un certo numero di ospiti stavano cenando insieme nella sua residenza episcopale londinese di Lambeth, a sud-ovest della città.[17] Un successivo atto del parlamento, l'Acte for Poysoning ("atto dell'avvelenamento"), descrisse i fatti di quel giorno in un resoconto ufficiale, affermando che:

«Nel diciottesimo giorno di febbraio del 1531 un certo Richard Roose, di Rochester, cuoco, chiamato anche Richard Cooke, versò del veleno in un recipiente pieno di lievito, che si trovava nella cucina del palazzo del vescovo di Rochester, a Lambeth March, per mezzo del quale due persone che per caso mangiarono la minestra fatta con tale lievito morirono.»

Poco tempo dopo il pasto molte persone (almeno una quindicina) si sentirono male:[4] tutte, durante il pranzo a casa del vescovo, avevano mangiato un pottage,[19] un tipo di porridge salato composito[14] (oppure una zuppa, non tutte le fonti sono concordi).[7][17][20] Di queste, un familiare di Fisher di nome Bennett Curwen, noto gentiluomo, e una vedova indigente che si era recata alla cucina del vescovo in cerca di elemosina di nome Alice Tryppytt, morirono in conseguenza dell'improvviso malore.[1][2][3][7][9][20][21]

Fisher, che durante il pasto non aveva toccato cibo, sopravvisse.[1][2][4][7][14] Non si sa perché Fisher non abbia mangiato quel giorno: il suo primo biografo, Richard Hall, riferisce che Fisher aveva studiato così intensamente nel suo ufficio da aver perso completamente l'appetito, ma che «desiderò che i servitori cominciassero a mangiare e fossero allegri»;[7] al contrario, G. W. Bernard riporta che Fisher era ben noto per la sua pratica caritatevole di non mangiare mai prima che i mendicanti alla sua porta lo avessero fatto, di conseguenza «svolgendo il ruolo fatale di assaggiatori».[2][14] Hall riporta inoltre che i sopravvissuti all'avvelenamento, benché non morissero subito, ebbero la salute rovinata per il resto della propria vita.[7]

I sospetti caddero rapidamente sugli uomini della cucina, in particolare sul cuoco Roose, che Richard Fisher (fratello del vescovo e domestico) ordinò di far immediatamente arrestare. Roose, che a quel punto pare fosse già scappato, pur essendosi allontanato fu rapidamente catturato.[22] Messo sotto interrogatorio presso la Torre di Londra, fu sottoposto a tortura e confessò le proprie supposte responsabilità nell'evento.[2][4]

La sostanza nel porridge[modifica | modifica wikitesto]

Nonostante la risonanza dell'episodio, non fu mai appurato quale tipo di sostanza era presente nel porridge consumato dalle vittime, e la maggior parte dei resoconti la definisce genericamente "veleno". Sono quindi state avanzate numerose ipotesi sulla sua natura, tra cui semplice lievito avariato (risultando quindi in una "semplice" intossicazione alimentare),[22] una varietà irritante di erica utilizzata all'epoca come veleno per topi, oppure piante ben più velenose come giusquiamo nero e aconito, la cui presenza è attestata nell'Inghilterra del periodo.[17]

Responsabilità di Roose[modifica | modifica wikitesto]

Molte ipotesi sono state fatte sull'effettivo coinvolgimento del cuoco nel supposto crimine, di seguito riportate.

  • Durante le torture, Roose ammise di aver messo quello che credeva fosse un lassativo nella pentola del porridge,[4] al solo fine di fare uno scherzo.[1][2][7][9][14][22] Lo stesso Roose ammise che, credendo che il porridge sarebbe stato mangiato solo dai colleghi servi, la polvere che vi aveva versato avrebbe dovuto causare solo un po' di disturbo intestinale, ma non essere fatale (versione a cui l'ambasciatore Chapuys non credette).[1]
  • Alcuni hanno suggerito che il colpevole non fosse lo stesso Roose, ma piuttosto qualche altra persona rimasta ignota, che fece in modo di far ricadere la colpa sul cuoco. Bernard suggerisce che questo individuo, conoscente di Roose, lo abbia mandato a prendergli da bere, e in sua assenza abbia avvelenato la minestra.[14] Richard Hall, biografo seicentesco che fornì un resoconto dettagliato della vita di Fisher, sostenne sostanzialmente una dinamica simile, asserendo tuttavia che Richard Roose non fosse il cuoco del palazzo episcopale, bensì un conoscente dello stesso cuoco, e che avesse avvelenato il porridge in preparazione durante una distrazione dell'amico.[7]
  • Bernard suggerisce che Roose possa davvero aver avvelenato intenzionalmente il porridge, ma che fosse stato istigato da altre persone.[14] Egli suggerisce anche che, poiché Fisher era sempre stato una spina nel fianco del re, è possibile che il sovrano intendesse spaventare o anche uccidere il vescovo, o che comunque fosse al corrente del complotto contro di lui.[14] Il re tuttavia rimase molto turbato dalla notizia, non solo per la sua stessa paranoia riguardo al veleno, ma forse anche per la paura stessa di essere implicato quale mandante del gesto di Roose.[22] L'ambasciatore Chapuys sospettò che i responsabili fossero il sovrano oppure i membri della famiglia Bolena.[14]
  • Tra i principali sospettati di essere mandanti del tentato avvelenamento di Fisher rientrano Anna Bolena, suo fratello George Boleyn e il loro padre Thomas Boleyn, I conte del Wiltshire.[7][9][20] Alcune voci del periodo volevano fosse stato direttamente il conte del Wiltshire a fornire al cuoco il veleno perché si sbarazzasse del vescovo.[20] Tali voci, riportate ad Enrico VIII da Tommaso Moro, sembra avessero preso piede nella popolazione già maldisposta nei confronti della futura regina,[2][9][20] facendo così infuriare lo stesso Enrico con conseguenze drammatiche per lo sfortunato Roose. Alcuni decenni più tardi il gesuita spagnolo Pedro de Ribadeneira attribuì fermamente la colpa dell'avvelenamento alla stessa Anna Bolena, scrivendo che «aveva desiderato vedere Rochester morto da quando aveva difeso la causa della regina con tanto valore. Spinta da questo odio, aveva precedentemente tentato di ucciderlo, corrompendo uno dei cuochi del vescovo, chiamato Richard Roose, per versare del veleno nella pentola da cui Rochester e i suoi servi di solito mangiavano tutti assieme».[23] Anche in tempi moderni Anna Bolena è da molti ritenuta la principale mandante dell'avvelenamento: Philippa Gregory, nel suo romanzo L'altra donna del re (2001), per bocca di Maria Bolena (sorella di Anna) si dice convinta della colpevolezza dell'amante di Enrico VIII e probabilmente anche del loro padre, il conte del Wiltshire (tesi poi ribadita dall'autrice anche al di fuori della finzione romanzesca).[20]

Processo ed esecuzione[modifica | modifica wikitesto]

Enrico VIII d'Inghilterra ritratto da Hans Holbein il Giovane; l'esecuzione di Richard Roose, fortemente voluta dal re, fu il preludio del periodo più sanguinario del regno del sovrano inglese

La condanna del re[modifica | modifica wikitesto]

Roose non fu mai processato in tribunale per il crimine di cui era accusato, quindi non ebbe la possibilità di difendersi. Invece, mentre si trovava in carcere, il re, furioso per le continue accuse contro Anna Bolena e deciso ad eliminare lo scomodo prigioniero,[4] si rivolse ai parlamentari affinché fossero presi provvedimenti sulla questione degli avvelenamenti. Roose fu quindi condannato sulla base dell'interpretazione personale del re degli eventi del 18 febbraio, piuttosto che sulla presenza di una qualsiasi prova, testimonianza o confessione di cui si sarebbe potuto disporre.[2][22]

An Acte For Poysoning: il nuovo decreto sul tradimento[modifica | modifica wikitesto]

Invece di essere condannato dai suoi pari, come sarebbe stato normale per l'Inghilterra dell'epoca, Roose fu giudicato direttamente dal parlamento.[2] Al fine di compiacere Enrico, entrambe le camere approvarono l'atto, noto come An Acte For Poysoning, nonostante la sua barbarie.[9][22] Esso equiparava l'avvelenamento all'alto tradimento, utilizzando quindi la massima spietatezza contro l'imputato tramite la condanna alla bollitura a morte.[4][9][14][18][21][24]

Contro Roose fu quindi presentato un Writ of Attainder, ovvero una condanna inappellabile, e fu dichiarato colpevole senza la necessità di alcun provvedimento di diritto comune;[4][7][14][22] da allora l'attainder sarebbe stato usato di frequente per imputare arbitrariamente gli oppositori del re di tradimento, senza la necessità di svolgere alcun regolare processo.[21][25] A seguito delle morti a casa Fisher, il parlamento (probabilmente dietro forte spinta del re) assicurò che l'atto di omicidio mediante veleno sarebbe stato d'ora in poi considerato tradimento, da punire con la bollitura a morte del condannato.[7][22] La legge specificava che:

«Il suddetto avvelenamento va giudicato alto tradimento; e che il suddetto Richard Roose, per il suddetto omicidio e avvelenamento delle suddette due persone, sarà accusato di alto tradimento, e sarà quindi bollito a morte senza il beneficio del clero. E che, in futuro, l'omicidio per avvelenamento sarà giudicato alto tradimento, e il colpevole privato del suo clero e bollito a morte.»

L'Acte era quindi retroattivo,[27] in quanto la legge che condannava Roose non esisteva (l'avvelenamento non era considerato tradimento) quando il crimine era stato commesso. In realtà, essendo registrati in Inghilterra casi di bollitura a morte di falsari[28][29] e avvelenatori già alcuni anni prima del 1532,[16] alcuni storici sospettano che l'intervento di Enrico VIII fosse andato a legalizzare una pratica già in uso ma non regolamentata dalla legge.[18][30] Era comunque molto inconsueta questa premura del re per punire i reati comuni e, soprattutto, Richard Roose in maniera specifica; ciò ha portato gli storici (ma, all'epoca, già l'ambasciatore imperiale Chapuys)[7] a sospettare un suo coinvolgimento nel tentativo di assassinio del vescovo Fisher e un suo conseguente tentativo di sviare i sospetti da sé dimostrandosi un persecutore inflessibile del supposto criminale.[4][7][14]

Esecuzione[modifica | modifica wikitesto]

Smithfield, luogo tradizionale delle esecuzioni a Londra, ritratto nella Woodcut map of London (tardo XVI secolo)

In quella che è stata suggerita dagli storici essere una sorta di "punizione simbolica",[24] intesa a dimostrare l'impegno profuso dalla corona inglese per tutelare la legge e l'ordine, Roose fu condannato ad essere bollito a morte.[9] Il supplizio sarebbe stato scelto come contrappasso del crimine da lui compiuto, avendo bollito il veleno nel brodo della minestra: ciò avrebbe collegato indissolubilmente il crimine alla sua punizione agli occhi dei contemporanei.[7]

L'esecuzione avvenne a Smithfield[14] il 5 o 15 aprile 1532.[N 1][4][18][26] La contemporanea Chronichles of the Grey Friars of London descrisse come Roose fosse legato con delle catene, assicurato ad un gibbetto e poi calato dentro e fuori dall'acqua bollente per più volte, finché non fu morto[7][31][32] a causa delle fatali ustioni riportate dai suoi organi interni.[33] Uno degli spettatori descrive così l'esecuzione di Roose:

«Urlava in modo forte e potente, e diverse donne che erano gravide si sentirono male alla vista di ciò che avevano davanti e furono portate via mezze morte; e altri uomini e donne non sembravano spaventati dall'ebollizione, ma avrebbero preferito vedere il boia compiere il suo lavoro [ovvero "ucciderlo in maniera meno cruenta"].»

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Richard Roose fu il primo dei condannati a morte ufficiali per bollitura in Inghilterra, ma tale pena era così straziante per il condannato e orribile per i testimoni che si giunse alla sua abolizione già pochi anni più tardi, sotto il regno di Edoardo VI (1547),[2][4][7][24][32] che declassò l'avvelenamento da "alto tradimento" a "crimine comune",[26] sostituendo alla bollitura a morte l'impiccagione oppure la morte sul rogo.[16] La regina seguente Maria I, appena ascesa al trono nel 1553, ribadì l'abolizione della bollitura a morte, così come di tutti i nuovi crimini classificati come "alto tradimento" sotto il regno di suo padre Enrico VIII.[3]

Il caso di Richard Roose causò negli anni e nei decenni successivi una psicosi collettiva contro gli avvelenatori, facendo ritenere dagli inglesi l'avvelenamento uno dei peggiori crimini concepibili ed attuabili, poiché metodo di uccisione crudele, codardo e altamente imprevedibile.[32][34] Durante il ventennio in cui fu in vigore l'Acte for Poysoning, oltre a Roose era stata ufficialmente condannata a morte e bollita viva solo una serva di nome Margaret Davy, che nel 1542 era stata accusata di aver avvelenato il proprio padrone.[2][7][26]

Il padrone di Roose, John Fisher, per la sua opposizione alla volontà del re venne arrestato e infine giustiziato nel 1535,[2][4] venendo poi proclamato martire dalla Chiesa cattolica.[7]

Influenza culturale[modifica | modifica wikitesto]

L'avvelenamento del 1531 è ampiamente trattato dalla narrativa, sia romanzesca che televisiva. L'episodio è citato nel romanzo L'altra donna del re (2001) di Philippa Gregory. È inoltre riprodotto nella serie televisiva I Tudors (2007-2010): nel primo episodio della seconda stagione Richard Roose è uno dei personaggi principali, venendo corrotto da George Boleyn per eliminare il vescovo Fisher, ma venendo torturato e ucciso dopo il suo fallimento[20] (anche se la relativa scena è errata, perché l'esecuzione viene ritratta come avvenuta all'interno della Torre di Londra e alla presenza di pochi testimoni, mentre invece avvenne in pubblica piazza).[2]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b La data di morte di Roose non è determinata con certezza: talune fonti riportano il 5 aprile mentre altre il 15, e nemmeno l'anno è certo, oscillando tra il 1531 e il 1532.

Riferimenti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f Wilson 2014, p. xvii.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t Filmato audio Matteo Rubboli, Richard Roose: il Cuoco Bollito a Morte per volere di Enrico VIII, 26 marzo 2023.
  3. ^ a b c d e Notes and Queries 1852, p. 33.
  4. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p Alessandro Marinucci, Richard Roose: il cuoco condannato da Enrico VIII alla bollitura a morte, su storiachepassione.it, 24 gennaio 2024.
  5. ^ Bernard 2005, pp. 102-104.
  6. ^ Bernard 2005, p. 101.
  7. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u (EN) Nancy Bilyeau, The Death of the Bishop's Poisoner, su englishhistoryauthors.blogspot.com, 27 luglio 2014.
  8. ^ Bernard 2005, p. 104.
  9. ^ a b c d e f g h Taylor 2023, p. 42.
  10. ^ a b c Bernard 2005, p. 108.
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  12. ^ Bernard 2005, pp. 105 e 108.
  13. ^ Bernard 2005, p. 109.
  14. ^ a b c d e f g h i j k l m Bernard 2005, p. 110.
  15. ^ Bernard 2005, p. 112.
  16. ^ a b c Wilson 2014, p. xviii.
  17. ^ a b c (EN) Mickey Mayhew, The Anne Boleyn Bible, Philadelphia, Pen & Sword Books, 2023, p. 51, ISBN 978-1-39908-372-0.
  18. ^ a b c d e Pettifer 2017, cap. XXVII.
  19. ^ Taylor 2023, pp. 41-42.
  20. ^ a b c d e f g (EN) Richard Roose Boiled to Death – 5 April 1531, su theanneboleynfiles.com, 5 aprile 2011.
  21. ^ a b c Lipscomb 2009, p. 194.
  22. ^ a b c d e f g h Lord 2023, cap. Lawful to Boil a Man Alive, p. 2.
  23. ^ (EN) Pedro de Ribadeneira, Pedro de Ribadeneyra’s 'Ecclesiastical History of the Schism of the Kingdom of England', a cura di Spencer J. Weinreich, Boston, Brill, 2017 [XVI secolo].
  24. ^ a b c Kerrigan 2001, p. 74.
  25. ^ Taylor 2023, pp. 42-43.
  26. ^ a b c d e Lord 2023, cap. Lawful to Boil a Man Alive, p. 3.
  27. ^ Notes and Queries 1852, p. 32.
  28. ^ Kerrigan 2001, pp. 74-75.
  29. ^ Taylor 2023, p. 41.
  30. ^ Notes and Queries 1852, p. 112 e 184.
  31. ^ Lord 2023, cap. Lawful to Boil a Man Alive, pp. 1 e 3.
  32. ^ a b c d Taylor 2023, p. 43.
  33. ^ Taylor 2023, pp. 43-44.
  34. ^ Wilson 2014, pp. xviii-xix.


Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]