Veglio della Montagna

Il "Vecchio della montagna" in una miniatura del Livre des merveilles, 1410

Vecchio della Montagna o Veglio della Montagna è l'espressione utilizzata da Marco Polo ne Il Milione per indicare Ḥasan-i Ṣabbāḥ, maestro della setta ismailita dei nizariti in Persia.

In seguito l'espressione servì a identificare il suo successore Rashid ad-Din Sinan, che agì in Siria.[1]

Nel Milione[modifica | modifica wikitesto]

Il racconto di Marco Polo descrive un luogo protetto da un castello fra le montagne in cui il capo aveva creato un paradiso terrestre con cibo e divertimenti come quelli descritti da Maometto, con vino, latte e miele e dove i giovani da lui selezionati provavano tutti i piaceri della vita. Da questo luogo i predestinati potevano entrare e uscire solo profondamente addormentati.

Quando il Vecchio aveva bisogno di un assassino, faceva cadere un adepto in un sonno profondo tramite oppio o hashish (da cui il termine "assassini") e lo faceva svegliare fuori dal "paradiso". Il malcapitato, disperato e confuso, sarebbe potuto rientrare solo dopo aver portato a termine la propria missione e quindi avrebbe fatto tutto quanto richiestogli.

«Il Veglio faceva entrare questi giovani nel giardino a gruppi di quattro o di dieci o di venti per volta; e faceva così: ordinava che fossero preparate per loro certe bevande che li addormentavano di colpo; poi, così addormentati, li faceva prendere e portare in quel giardino dove li risvegliavano. Al risveglio, trovandosi nelle delizie di quel giardino e vedendo tutto ciò che vi ho detto, i giovani credevano davvero d’essere in Paradiso.»

In altre fonti[modifica | modifica wikitesto]

Fonti arabe, persiane e perfino cinesi illustrano la storicità della vicenda. Il persiano Ḥasan-i Ṣabbāḥ fu iniziatore della diramazione musulmana sciita detta degli ismailiti, considerata eretica dai sunniti e dagli sciiti duodecimani; dopo esserne diventato gran maestro nel 1107, nel 1109 s'impadronì della fortezza di Alamūt, che diventò centro del suo potere.

Fra le denominazioni usate dagli autori musulmani per i seguaci di al-Hasan quella di "hashishiyyah" risulta rarissima, tuttavia è quella che allude all'hashish, che secondo alcune versioni delle leggende somministrava nel "paradiso terrestre" riservato ai suoi adepti,[2] e che dovette predominare nell'uso popolare così da dar origine al vocabolo europeo "assassino", termine usato in Occidente fin dal XII secolo (nel generico significato di omicida, "assassino" è utilizzato già da Dante nell'Inferno[3]).

Anche le fonti orientali riferiscono dell'inebriamento e testimoniano del potere assoluto esercitato dal capo: la dottrina ismailita ammetteva del resto l'omicidio politico, con una spregiudicatezza che consentì di allearsi persino con i Crociati.[4]

Nel 1256, sotto il regno del Gran Mastro 'Ala' al-Din, terzo successore di al-Hasan, i Mongoli di Hulagu Khan espugnarono la fortezza ritenuta imprendibile.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Stanislas Guyard, "Un grand maître des Assassins au temps de Saladin", su: Journal asiatique, 1877, pp. 324-489 e W. Ivanow, «Rashīd ad-Dīn Sinān», in: The Encyclopaedia of Islam, 2 ed., II, p. 103.
  2. ^ Il Vecchio della Montagna - Betty Bouthoul, su Adelphi Editore. URL consultato il 25 maggio 2024.
  3. ^ Dante Alighieri, La divina Commedia, Inferno, XIX, 50
  4. ^ Ettore Camesasca, Il milione, Milano, 1977, nota

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Marco Polo. Il Milione, a cura di Luigi Foscolo Benedetto, Firenze, 1928.
  • Il Milione. Versione toscana trecentesca, a cura di Valeria Bertolucci Pizzorusso, Milano, Adeplhi, 1975.
  • Storia dei Musulmani di Sicilia, Michele Amari, Le Monnier, 1868, pag. 647

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