Volo Japan Airlines 350
Volo Japan Airlines 350 | |
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Douglas DC-8 della Japan Airlines simile a quello incidentato | |
Tipo di evento | Incidente |
Data | 9 febbraio 1982 |
Tipo | Azione deliberata del comandante |
Luogo | Baia di Tokyo |
Stato | Giappone |
Coordinate | 35°33′13″N 139°46′56″E |
Tipo di aeromobile | Douglas DC-8-61 |
Operatore | Japan Airlines |
Numero di registrazione | JA8061 |
Partenza | Aeroporto di Fukuoka, Fukuoka, Giappone |
Destinazione | Aeroporto Internazionale di Tokyo, Tokyo, Giappone |
Occupanti | 174 |
Passeggeri | 166 |
Equipaggio | 8 |
Vittime | 24 |
Feriti | 77 |
Sopravvissuti | 150 |
Mappa di localizzazione | |
Dati estratti da Aviation Safety Network[1] | |
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Il volo Japan Airlines 350 (日本航空350便?, Nihonkōkū 350 Bin) era un volo di linea della Japan Airlines tra l'Aeroporto di Fukuoka e l'Aeroporto di Haneda. Il 9 febbraio 1982 il Douglas DC-8 che operava il volo precipitò nella baia di Tokyo durante l'avvicinamento all'Aeroporto di Haneda. La causa dell'incidente è da attribuire a un'azione volontaria del comandante affetto da problemi psichiatrici.[1]
L'aereo
[modifica | modifica wikitesto]Il velivolo era un quadrimotore a reazione Douglas DC-8-61 con numero di registrazione JA8061 e S/N 45889 costruito nel marzo 1967 motorizzato da quattro Pratt & Whitney JT3D-3B[2].
L'equipaggio
[modifica | modifica wikitesto]L'equipaggio era composto dal comandante del DC-8 Seiji Katagiri (片桐 清二?, Katagiri Seiji) di 35 anni, dal primo ufficiale Yoshifumi Ishikawa di 33 anni, e dall'ingegnere di volo Yoshimi Ozaki, 48 anni.
L'incidente
[modifica | modifica wikitesto]Il Douglas ai comandi del comandante Katagiri decollò senza riportare alcun'anomalia dall'Aeroporto di Fukuoka e un'ora più tardi, alle 08:35, venne autorizzato all'atterraggio strumentale sulla pista 33R di Haneda.
Alle 08:43, secondo le regole di compagnia, il copilota chiamò i "500 piedi" senza ricevere però risposta dal comandante[3]. Due minuti più tardi poco dopo aver raggiunto la decision height il comandante disattivò l'autopilota, portò le manette al minimo, attivò gli inversori di spinta e spinse in avanti la cloche. Ishikawa e Ozaki tentarono di trattenere Katagiri e riprendere il controllo, ma nonostante i loro sforzi la discesa del DC-8 non si arrestò completamente atterrando in acque poco profonde nella baia di Tokyo a 510 metri (1673 piedi) dalla pista 33R. Durante lo schianto, il cockpit dell'aereo si separò dal resto della fusoliera e continuò ad andare alla deriva per diversi metri prima di fermarsi. [4].
Tra i 166 passeggeri e 8 membri dell'equipaggio, persero la vita in 24. In seguito all'incidente Katagiri, una delle prime persone a salire su una barca di salvataggio, una volta raggiunto dai soccorritori non si identificò come il comandante del velivolo bensì come il primo ufficiale. Katagiri è stato successivamente scoperto affetto da schizofrenia paranoide prima dell'incidente, il che lo fece dichiarare non colpevole per infermità mentale. Gli investigatori del governo giapponese attribuirono l'incidente alla mancanza di esami medici adeguati che permise a Katagiri di volare.
Da allora Katagiri è stato rilasciato dalle cure psichiatriche e vive vicino al Monte Fuji.
Le indagini
[modifica | modifica wikitesto]La commissione di inchiesta analizzando il Cockpit Voice Recorder (CVR) e il Flight Data Recorder (FDR) e potendo interrogare direttamente Katagiri stabilirono che la causa dello schianto fosse il risultato di un'azione deliberata del comandante durante la fase finale di avvicinamento all'Aeroporto di Haneda[4][5]. Il comandante infatti era affetto da problemi psichiatrici e per questo motivo era rimasto a terra per alcuni mesi del 1980 per poi essere riabilitato[4].
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b Harro Ranter, ASN Aircraft accident McDonnell Douglas DC-8-61 JA8061 Tokyo-Haneda Airport (HND), su aviation-safety.net. URL consultato il 26 gennaio 2020.
- ^ JA8061 Japan Airlines Douglas DC-8-61 - cn 45889 / 291, su planespotters.net. URL consultato il 22 giugno 2016 (archiviato dall'url originale il 29 agosto 2016).
- ^ Il comandante avrebbe dovuto rispondere stabilized.
- ^ a b c Shreeya Sinha, A History of Crashes Caused by Pilots’ Intentional Acts, in The New York Times, 26 marzo 2015. URL consultato il 22 giugno 2016.
- ^ Dietrich Alexander, The Suicidal Pilot Who Survived, su OZY. URL consultato il 22 giugno 2016 (archiviato dall'url originale il 15 febbraio 2022).